La storia dello stoccafisso e del baccalà

L’avventura antica e affascinante di due ingredienti principe della tradizione gastronomica italiana. Raccontiamo la storia dello stoccafisso e del baccalà.

Il pesce in questione è il merluzzo artico norvegese skrei (gadus morhua) pescato nei freddi mari a largo della Norvegia. Merluzzo che in base a differenti lavorazioni si trasforma nell’uno o nell’altro, cominciando così la storia dello stoccafisso.

Iniziamo quindi la storia dello stoccafisso, (termine che deriva da “stokk” ossia palo o anche, struttura – rastrelliera – quella dove il pesce viene appeso ad essiccare). E il cui metodo di lavorazione e conservazione è tipico dei piccoli porti delle isole Lofoten, in Norvegia. In queste gelide acque, tra febbraio e aprile, migra il merluzzo artico per deporre le uova. E sin dall’antichità le popolazioni pescavano grandi quantità di pesce per creare una scorta. Il merluzzo pescato veniva poi lasciato seccare per tre mesi all’aperto su rastrelliere ad hoc. Su queste isole ed esattamente a Røst, nel 1432 naufragò il nobile commerciante veneziano Pietro Querini. Naufragò con il suo equipaggio, che a causa di una tempesta nel Canale della Manica andò alla deriva fino queste lontane isole del Mare del Nord,.

La popolazione soccorse l’equipaggio che si fermò sull’isola. Qui il nostro Pietro Querini assaggiò lo stoccafisso che apprezzò particolarmente. E da qui nacque l’idea di importarlo a Venezia, di descrivere il metodo di essiccazione. E riportare le ricette con cui gli abitanti di Røst preparavano il prodotto gustandolo a pezzi condito con burro e spezie.

Di seguito la relazione del Querini per il senato di Venezia.

Per tre mesi all’anno, cioè dal giugno al settembre, non vi tramonta il sole, e nei mesi opposti è quasi sempre notte. Dal 20 novembre al 20 febbraio la notte è continua, durando ventuna ora, sebbene resti sempre visibile la luna. Dal 20 maggio al 20 agosto invece si vede sempre il sole o almeno il suo bagliore… Gli isolani, un centinaio di pescatori, si dimostrano molto benevoli et servitiali. Desiderosi di compiacere più per amore che per sperar alcun servitio o dono all’incontro…Vivevano in una dozzina di case rotonde, con aperture circolari in alto, che coprono con pelli di pesce. Loro unica risorsa è il pesce che portano a vendere a Bergen. (…) Prendono fra l’anno innumerabili quantità di pesci, e solamente di due specie. L’una, ch’è in maggior anzi incomparabil quantità, sono chiamati stocfisi. L’altra sono passare, ma di mirabile grandezza, dico di peso di libre dugento a grosso l’una. I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi. Poi compongono butiro e specie per darli sapore: ed è grande e inestimabil mercanzia per quel mare d’Alemagna. Le passare, per esser grandissime, partite in pezzi le salano, e così sono buone (…).

Un impulso al consumo fu dato poi dal Concilio di Trento, a metà del Cinquecento, che stabilì l’alternanza tra il consumo di carne e giorni di magro. Quelli in cui si poteva assumere solo pesce e lo stoccafisso, per la facilità di conservazione, ben si adattava a questa esigenza per le classi più povere.

Ai giorni nostri

Nel 2014 lo stoccafisso riceve dall’Unione Europea la denominazione di origine controllata con una ben precisa identificazione geografica. Mentre il baccalà non essendo legato a particolari condizioni climatiche, può essere prodotto in varie parti d’Europa e in diversi momenti dell’anno.

Non è chiara l’origine del termine baccalà che nasce seguendo i metodi di conservazione della carne di balena. Secondo alcuni deriva dal fiammingo “kabeljaw” che significa bastone di pesce, secondo altri dal latino “baculus”, bastone.
Dalle coste del Nord di Francia e Spagna partivano i cacciatori di balene che seguendo i grandi cetacei s’imbattevano frequentemente in enormi banchi di merluzzi. Banchi che fornivano loro una pesca particolarmente fruttuosa e che li costrinse ad utilizzare una tecnica di conservazione. Tecnica basata sul sezionamento e salagione, così come procedevano con la carne di balena.

Il baccalà viene così salato e appeso agli alberi delle navi ed oltre ad essere ottimale per il consumo diventa anche un “barometro”. In quanto se il sale che lo ricopriva iniziava a sciogliersi significava che l’umidità stava aumentando e che una tempesta era in arrivo.

Oggi l’Italia è il quarto mercato più importante per il baccalà norvegese. Dando vita a piatti regionali diversi tra loro ma tutti ugualmente gustosi e squisiti.

In un prossimo post vi proporremo 2 ricette elaborate dal nostro Chef.

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